Il giornalismo in crisi, la crisi del giornalismo

[Articolo del luglio 2016]

Oggi mi sono capitate un sacco di sollecitazioni sul tema giornalismo:

Stamani un articolo sul suo futuro, che sarà no-profit, poi un divertentissimo articolo su un sito spazzatura che riguarda ancora la povera Kyenge e che pretende un futuro in cui tutta la politica sarà composta da clandestini (non lo linko per carità di patria). Infine una battuta di Luca Alagna su Facebook che dice: “ Non illudiamoci che nel dilagare del populismo e della radicalizzazione quotidiana non ci sia grande responsabilità dei media.
Persino superiore ai comportamenti della politica, secondo me.” Con Emanuele Perugini che chiosa splendidamente dicendo: “ sono pienamente d’accordo. nel vano tentativo di inseguire l’audience si sono fottuti il mestiere”.

Allora, io che giornalista non sono, ho provato a unire un po’ di puntini.

Non sono giornalista ma mi occupo di comunicazione e da anni ho a che fare con i giornalisti e con i giornali. Sono anni che invito i giornalisti a tenere seminari nei miei corsi all’Altiero Spinelli per gli studenti di Comunicazione Internazionale e studio i giornali, di carta e sul web.

Ho ascoltato tutti, giovani e meno giovani, tutti, competenti, capaci, volenterosi affascinati dal loro lavoro. Tutti con il problema della carenza di investimenti degli editori, tutti con il problema del web che avanza, tutti con il problema di “parlare ai lettori”.

Ma in quest’ultimo periodo parlare ai lettori sembra voglia dire spararla grossa per vendere il prodotto, senza porsi il problema di fare la differenza. Perché se i giornali seri non fanno la differenza non so trova più il motivo di leggere il Corriere invece del peggior sito di bufale.

Ma quanto costa fare la differenza?

Senz’altro più di un qualsiasi sito spazzatura, non ci sono dubbi; forse un po’ meno di certe corazzate che stanno garantendo stipendi milionari a persone che hanno fatto il loro tempo e che, credo senza dubbio, costino troppo più di quanto non rendono.

Allora mi chiedo se un pezzo del problema sia non tanto la carta o il web ma la tremenda rincorsa. La tremenda rincorsa a mantenere delle macchine esauste, costosissime (e ormai inquinanti) che non sono più al passo con i tempi.

La tremenda rincorsa a rubacchiare una copia venduta in più o un click perdendo le prerogative che i giornalisti dovrebbero avere: la verifica, la terzietà, la deontologia professionale.

Perché temo che quando i giornalisti si mettono a fare comunicazione e marketing del loro prodotto (nella vana rincorsa della copia perduta), pure i giornali “seri” quelli fatti dai giornalisti capaci, se ne escono con queste cose che racconta Stefano Pallaroni sul suo Blog e che correttamente definisce “Imbarbarimento”.

Il problema sta nel manico ho l’impressione, e non credo sia una questione commerciale.

Il giornalismo di questi anni mi ricorda un po’ l’INPS. Nato in un tempo in cui tutti versavano contributi e si moriva giovani, che non si è accorto che le cose stavano cambiando, con il disastro che è sotto gli occhi di tutti. (Mi si perdoni una semplificazione degna di un sito spazzatura, ne convengo).