
Faccio parte di quella generazione che ha adorato quel film, che ci ha trovato dentro il senso della vita, l’urgenza e la necessità.
Faccio parte di quella generazione che si è seduta lì e ha permesso che il mondo le passasse sopra.
Partirei da un presupposto: un film, soprattutto come questo che ha avuto un successo planetario, non è solo un film, è un pezzo della storia di ognuno di quelli che lo hanno visto e lo hanno amato. Diventa un pezzo del modo di pensare. Diventa quasi una cosa a cui tendere. Rimane una sorta di film motivazionale, epocale.
Bene, fatta questa premessa comincio a riflettere perché questo film è stato così tremendo. Ovvio che non è tutta colpa sua, intendiamoci, ma se viviamo in questo tempo difficile è anche un po’ colpa sua.
E, siccome siamo in questo tempo difficile, mi permetto una ulteriore premessa (sa di mani avanti, lo so, ma appunto, la stagione è quella che è) ovvero che questo mio scritto, che non è un trattato, come vedete non ci sono note o rimandi colti, è una brutalissima semplificazione, che forse, dico forse, potrebbe essere un piccolo contributo a una riflessione generale.
Partiamo da zero: il prof. ottiene che uno dei suoi studenti decida di fare una cosa più grossa di lui: e, senza il minimo sostegno, cerca di uscire allo scoperto. Il risultato è che lui non ce la fa e si suicida. Sarebbe stato meglio stare al proprio posto? Non so, forse no. Di certo un pedagogo dovrebbe porsi il problema di non buttare nel mare in tempesta un giovane (che peraltro sa appena nuotare) che si fida di lui.
E per tutto il film vediamo un fiorire di atti mancati, uomini che provano a essere altro da sé senza riuscirci, storie che provano a sbocciare e non sbocciano.
E il tutto finisce con il professore progressista che viene malamente cacciato da quella scuola che torna indietro, esattamente al punto di partenza: ricordiamo che la circolarità della storia è del tutto simbolica. E il prof, il mitico uomo della provvidenza se ne va, amatissimo, con gli studenti che montano sui tavoli, incuranti del rischio di punizione, ricordando che lui e solo lui è unico e vero capitano.
Bene. In sostanza Keating ha fatto un sacco, di rumore senza ottenere assolutamente nulla.
Potremmo definire la sua una rivoluzione da salotto, una di quelle rivoluzione delle chiacchiere che non portano da nessuna parte ma fanno sentire tutti molto meglio. Una rivoluzione che non si prende nessuna responsabilità, perché se tutto cambia nulla cambia e, tanto, poi chissene (come direbbero gli ex giovani che oggi si commuovono ancora). In fondo, la cosa davvero importante è aver capito che si potrebbe fare.
Beh, la cattiva notizia è che non è così. La cattiva notizia è che a mirare alto (qualche volta troppo alto) si finisce per fare un tonfo più sonoro senza ottenere niente e, in qualche caso, si finisce a fare più danni. E il problema è anche che poi ci si lamenta perché “il mondo è contro di noi”.
Ecco, io ho un po’ l’impressione che la mia generazione del “se puoi sognarlo puoi farlo” debba molto di questa stupidaggine a quel film, e sono ragionevolmente certo che legioni di parvenu della politica che si sono trovati alla ribalta delle cronache in questi anni, se intervistati parlerebbero di questa storia come una di quelle imperdibili per la formazione dell’uomo e della donna, e del gender fluid, e del poliamoroso e di tutto quanto ci viene in mente rispetto alla salvaguardia della categorizzazione del nostro ombelico.